Un giorno tutto quel dolore ci sarà utile

10 flash in margine all’incontro sulla Roma di Petroselli svoltosi giovedì 24 febbraio 2012 nella Sede di Altramente.

di Antonello Sotgia

1. Succede alle volte che più persone, alternandosi, diano vita ad una lettura collettiva. Ci si passa l’un l’altro le pagine di un testo leggendolo ad alta voce verso un uditorio variabile per numero ed attenzione. E’ un atto d’amore verso un autore, ma, soprattutto, verso pagine capaci di tenere insieme per motivi diversi storie, ricordi, passioni che ognuno di noi “cova”in se stesso e “ritrova” nel suo libro preferito.

Parlo di libro al singolare. Penso infatti che, come per i quadri, la musica e, almeno per me, gli edifici, sia sempre uno ed uno solo quello che mettiamo avanti a tutti. Per noi romani, nella tipologia dei “preferiti” c’è posto pure per il sindaco della nostra città. Indicare Luigi Petroselli è facile. Non c’è partita. Il sindaco più amato. Anche se lo è stato per soli due anni. Scomparso da trenta con lui muore il sogno che Roma sarebbe potuta essere diversa. Per capire come questo sogno si sia spezzato Ella Baffoni e Vezio De Lucia (giornalista la prima e urbanista il secondo, ma i due, per aver animato molte campagne di difesa del bene comune città, a ben pensarci in questi anni si sono tra loro più volte scambiato il rispettivo ruolo) ci hanno consegnato un bel libro di cui in diversi abbiamo scritto e discusso. Anche su questo sito.

2. E’ parso così naturale fare di quelle pagine l’occasione per dar vita ad un tentativo di una lunga recensione collettiva con chi, quella città, con quel sindaco e quegli avvenimenti, aveva attraversato in prima persona. Per cercare – magari appoggiandosi al ricordo di una cosa/oggetto intercettati in quel medesimo periodo- dì interrogarsi su quell’esperienza di governo della città, sul peso di quella novità e sul perché – ma questo termine lo uso oggi dopo l’incontro che l’associazione Altramente scuola per tutti, ha organizzato giovedì 23 febbraio- non fossimo riusciti a difenderla. E qui devo tornare al plurale perché dalla lunga staffetta (20 le recensioni orali che alternandomi con Patrizia Sentinelli ho cercato di tenere insieme !!) ho scoperto che anche quelli che pensavo, avessero, allora, un altro sentire, in realtà soffrivano del fatto che la forza e il valore indubbiamente espresse dalle giunte rosse (Argan e Petroselli), che avevano strappato il governo dalle mani del lungo malaffare clerico-democristiano, non riuscissero poi a farsi artefici di quelle trasformazioni prodotte dalle lotte e da quelle forme di nuovo protagonismo sociale che avevano affidato proprio a quegli amministratori la loro rappresentanza.

3. Fausto Bertinotti, pensando all’esperienza torinese di quegli stesi anni, trova la straordinarietà di Petroselli anche in Novelli sindaci capaci di legarsi alla loro “comunità” in un periodo storico in cui era l’onda lunga delle lotte a cercare di dare un senso alle città . Il PCI da “ bestia strana” poteva non capire, fare pure cose “orribili” ma era capace di esprimere una “connessione sentimentale”con il suo popolo . Per Vezio De Lucia addirittura Petroselli -che ricorda non aveva particolare interesse per l’urbanistica tanto da non aver mai preso in considerazione la possibilità di svuotare il centro storico realizzando, con il trasferimento delle strutture ministeriali, il famoso sistema direzionale nella parte est della città- voleva “affascinare il popolo”. Da qui l’invenzione del progetto Fori, l’abbattimento di baracche e borghetti, la stagione dell’edilizia residenziale pubblica, il rapporto di non sudditanza con i costruttori piegati all’esigenza del diritto alla casa . Tutto questo fino alla seconda conferenza urbanistica dove il partito sembrò voler cambiare passo. A partire proprio dalla proposta dell’assessore all’urbanistica Buffa di voler realizzare il sistema direzionale orientale attraverso il medesimo strumento urbanistico, la lottizzazione convenzionata, che aveva riempito la città di palazzine. Si perché lo ha ricordato Alessandra Montenero Roma aveva un proprio piano. Quello che da almeno un quindicennio aveva minato il cuore della città sia regolarmente sia producendo la grande piaga dell’abusivismo. Alla città senza case Petroselli tentò di dare una risposta facendolo in modo implacabile. Anche ricorrendo ad utopie di cemento, ma sempre secondo una visone di politica urbanistica ferma che vedeva “centro e periferia essere facce della stessa medaglia” . E le case? Tante e anche “sostanzialmente corrette”. Insomma prodromi di una qualità non del tutto riuscita, ma esistente a fronte di un presente che vede certo una qualità diffusa ma l’assenza totale di forme d’edilizia popolare nel nuovo piano di Veltroni.

4. Una città che andava salvata come, è Salvatore Bonadonna a ricordare, quando Petroselli riuscì a risolvere, con la sua figura morale, lo sciopero dei bussolettari, i lavoratori notturni dei depositi del trasporto pubblico e far funzionare la mobilità in città. Non un gesto autoritario ma espressione della sua capacità d’ascolto. Se fosse diventata pratica diffusa, per Bonadonna “non saremmo giunti all’urbanistica contrattata”. In molti questa capacità la riconoscono a Renato Nicolini che ricorda “come architettura e politica in realtà siano un linguaggio povero” e di come siano rimaste vittima di quel “moroteismo” proprio di quel periodo che, per la necessità di “specificare e distinguere” abbia finito con impedire la scoperta del semplice. Come per esempio scoprire il “meraviglioso urbano” che è poi la costruzione del senso dell’abitare. Forse troppo per un PCI che con il sopravvento della “banda dei quattro” come affettuosamente (sic) venivano chiamati quei quattro dirigenti appunto che usarono la battaglia contro l’effimero (ovvero la straordinaria stagione culturale promossa da Nicolini) per inserirsi in particolare nella strategia del “mattone” e in generale all’interno di quella politica “sviluppista” che ha iniziato la disgregazione fisica e sociale di questa città. Petroselli capii che con l’effimero la “città sceglieva di svilupparsi in modo fluido”; per questo centro e periferia erano da considerare come un unico.

5. Troppo per chi all’interno della federazione comunista era alla ricerca di difficili equilibri tanto da inventarsi come segretario, al termine di un’inchiesta sulle sue presunte origini gruppettare, Sandro Morelli che, onestamente, lo ha ricordato fornendo la fotografia di quell’appiattimento reciproco, da lui contrastato, tra partito ed amministrazione e tra amministrazione e partito. Con l’esito che vide, al di là degli scontri anche drammatici ( il comitato centrale che vide proprio il sindaco Petroselli cadere a terra stroncato da un infarto al termine del proprio intervento), il venir meno della connessione sentimentale sul piano sociale e la rinuncia alla forza del progetto in termini urbanistici. Un dolore che dalla discussione politica e ideologica si trasferì subito nelle strade della città nel suo farsi da allora irreversibilmente arcipelago periferico.

6. Perché la sinistra non ha seguito Petroselli? A chiederselo e a chiederlo è stato Giuseppe Pullara che con i suoi articoli per oltre trent’anni ha coniugato l’informazione puntuale all’attenzione agli individui edilizi che a Roma si sono andati realizzando o, come il Mumford di “Passeggiando per New York”, avrebbero potuto costruire un’altra città. Lui si chiede perché pensiamo ora a Petroselli e non lo abbiamo fatto prima; ma è Sandro Medici a ricordarci il dolore di doversi costruire “alteri al PCI” di quella, generazione di uomini e donne che proprio in quegli anni andava sperimentando le prime forme di mutualismo sociale proprio in quelle periferie che “uno spregiudicato” sindaco cerca di tenere insieme alla cultura.

7. Poteva quell’organizzazione politica -il PCI intendo- capire l’emozione di Wilma Labate che, decide di costruirsi narratrice per immagini, accompagnando sulla spiaggia di Fiumicino la prima uscita dei ricoverati al Santa Maria della Pietà e pone il problema della bellezza ? Resistere ad un’indignata Pasqualina Napoletano che ha ricordato come a lei, responsabile femminile, solo qualche anno prima fosse stato detto che la 194 (la legge che ha permesso l’aborto nel nostro paese) per Roma, data la vicinanza al Vaticano, non si sarebbe dovuta applicare? Contenere la sete di cultura, come ci ha ricordato Marilù Prati, che in quegli anni esplodeva in ogni angolo della città facendola splendente nonostante il grigiore della situazione politica? Comprendere la ricerca delle parole con cui, all’interno dello stesso giornale del partito, l’Unità, giovani redattori come Stefano Bocconetti volevano narrare la necessità di andare avanti con il cambiamento a costo del loro allontanamento dal giornale e dalla passione dello scrivere? Seguire le occupazioni delle tante case sfitte e quel movimento, come hanno ricordato Loredana Mozzilli e Dante Pomponi, capace di coniugare la lotta per il raggiungimento al diritto alla casa con una nuova idea di città al di là oltre l’urbanistica? Dove la conquista del verde come dice Roberto Donini era molto di più di un parco e per ricordarlo il suo oggetto è un lungo ciclostilato d’epoca dove quelle e le tante altre ragioni venivano puntigliosamente spiegate colonna dopo colonna?

8. Intanto la città, proprio allora, stava cambiando prendendo i primi connotati di quella attuale. Franco Purini invita a non disprezzare la città così come si era andata consolidando anche nella sua forma estensiva delle palazzine, forme edilizie in cui centinaia di migliaia di famiglie hanno costruito il proprio senso dell’abitare. Ognuno di quegli edifici entra in rapporto con la città. Intorno quel materiale edilizio si sarebbero dovuti costruire luoghi discontinui ed aperti. E qui, nel ricordo del suo “teatrino scientifico” freccia poetica conficcata nel tessuto dell’altero quartiere Prati (1979) torna la necessità della bellezza. Un tema ripreso da Rossella Marchini che vede un filo rosso di continuità nella bellezza, anche sociale , per tutti le forme del meticciato, nel “ pullulare dei comitati di cittadini” di quegli anni e le forme del protagonismo sociale odierno. Lei parla di ricchezza di questi arcipelaghi. Roberto Musacchio racconta come abbia da “politico” cercare di portare tutto questo fermento in quel partito e questo per lui sarebbe stato l’antidoto al suo scioglimento.

9. Ma chi allora in quegli anni nasceva sembra non essere d’accordo. Per l’urbanista Viola Mordenti c’è la necessità che la città sia capace di ripensarsi come bene comune. Solo così potrà battere quella deriva liberista che , come fa l’attuale sindaco Alemanno, con la sua proposta di demolizione di Tor Bella Monaca intende demolire anche l’idea di città e quindi case e persone. Queste ultime hanno una propria memoria anche dei luoghi. Per Bruno Bonomo, ricercatore di storia , il rapporto tra memoria e qualità urbana potrà avvenire nella pratica, la sola in grado di tenere insieme le varie forme di convivenza che fanno la città. Ci sarà ancor a molto da fare come sembra, chiudendo l’incontro, ricordarci la coautrice del libro da cui ha preso le mosse la lunga discussione Ella Baffoni per superare gli errori di Petroselli “ma anche della sinistra ed anche di quelle forme di consumo, come l’estate romana, che forse avrebbero avuto bisogno di una maggiore criticità”.

10. Una constatazione e un augurio soprattutto per i molti che, proprio in questo periodo, si stanno interrogando su come Roma possa essere la città dove sperimentare la democrazia dei beni comuni e di quale ruolo potranno assumere i contropoteri che in tanti hanno ricordato essere attivi in città. Un giorno tutto quel dolore ci sarà utile.