“2098” di Andrea Nero
Di Fiorella Palomba
Andrea Nero, in questo romanzo breve, ti prende per mano e ti conduce nello spaesamento totale. Qui sta il bello, questa è l’anima della narrazione.
Quando scrivo una recensione sono attenta sia al coinvolgimento emotivo che un testo suscita, sia al filo conduttore e questa opera prima di Andrea Nero riesce a emozionarti, a farti pensare profondamente al tuo presente, al tuo passato e al tuo futuro e a quello dell’umanità intera. Vi pare poco?
Una presentazione e un’appendice, di cui dettaglierò più avanti, racchiudono come in una conchiglia un tesoretto che ti lancia in una avventura senza fine, nel gorgo delle tue paure profonde, in una oscillazione continua tra presente, passato, futuro e in tre luoghi diversi del pianeta che, a mia sommesso avviso, vogliono rappresentare antichità (Roma), modernità (Islanda), radici tribali (Botswana) e che sono i nostri desideri e le nostre contraddizioni.
Tutto comincia a Roma nel 2098. Il protagonista, Joe Solo, supervisore di un progetto interplanetario, incontra Carl Bay, responsabile della Biotech e amico per affrontare una questione delicata. Un inizio tranquillo, secondo il classico schema narrativo cui segue una complicazione: l’inverarsi dell’errore 499, problema di sincronia, prima vittima Carl Bay. Da qui una serie crescente di accadimenti fino alla conclusione “aperta”.
Capitoli brevi, inanellati in un rimpallo temporale che narra le avventure di Joe Solo, dei suoi compagni/e di ricerca in un crescendo avvincente a cavallo tra aspettativa e disagio.
Roma, sigillata in cupole di alluminio è lo sfondo originale della storia e accompagna Joe nei quartieri della capitale. Vi confesso che ieri, guardando Roma dalla metropolitana, “vedevo” le cupole di alluminio. Potenza della scrittura!
Dicevo di una conclusione “aperta”, in qualche modo sospesa che consente al lettore riflessioni e immaginazioni.
Dalla presentazione abbiamo informazioni sull’autore. Si parla del presente e dei giovani, ma l’appendice che volutamente l’autore ha posto a chiusura ci dice altro sulla memoria e sul senso del passato. Una contraddizione? No, è un’altra oscillazione che, in un racconto fantastico, ti vuole riportare al reale.
L’apparato bibliografo è una chicca, io credo, perché in un racconto fantasy le fonti informative hanno un peso.
Mi permetto un suggerimento all’autore. Alcune suggestioni (Roma incapsulata, il sentiero luminoso che indica il percorso e altre) possono essere ampliate, avere maggior peso e spazio in una possibile seconda edizione, proprio per la loro potenza inventiva. Buon lavoro e buona lettura.