Buenos Aires: Impressioni di viaggio
Di Patrizia Sentinelli
Buenos Aires esercita su di me una fascinazione particolare. Sarà la luce potente che esplode sulla città, o l’aria ribelle dei tangheros, oppure l’attraversamento dell’Avenida 9 de Julio e ancora la Boca che parla genovese, o gli antiquari di San Telmo con le madonne e i sifoni di selz colorati in vetrina a catturarti e a sospingerti in un’altra dimensione.
Sarà un insieme di cose ma è certo che la città portena è unica. La gusti di più se la percorri a piedi, quadra dopo quadra. Poi quando non c’è la fai più ci sono taxi , la Subte e bus in quantità. Ora l’inflazione è alta, e anche i taxi sono meno convenienti di qualche anno fa. Ma sono sempre un buon mezzo per muoversi. Alzi la mano e oplà già ci sei dentro, direzione Palermo Viejo o Belgrano….
La città esplode in un miscuglio di contraddizioni. Modernità e decadenza. Grandi marche nei negozi e nei centri commerciali e tanti cartoneros all’imbrunire. Ma c’è comunque una presenza della mano pubblica che sostiene e prova a regolare. Ciò che colpisce è soprattutto la vivacità sociale e politica molto intensa.
Sui tavoli dei caffè c’è l’immancabile Clarin, ma anche tante discussioni appassionate, pro o contro Cristina. Ci si divide e accalora attorno alle sue politiche e non si resta mai in mezzo. Si prende parte, si condivide, ci si oppone. Il benvenuto ce lo dà l’Ambasciatore italiano. Insieme alla moglie a pranzo nella bellissima residenza. Gradevole conversazione.
Segnala preoccupazione per le sorti delle imprese italiane e per un accento troppo protezionistico che ha assunto la politica argentina. Poi tanti consigli di cose da vedere e da vivere. Prima tappa Recoleta, il cimitero con il mausoleo di Evita e tanti potenti. Qui a Buenos Aires anche da morti i ricchi si sono voluti trovare insieme! Sulla piazza però per riposare c’è La Biela per un gelato al dulce de leche. In una tranquilla periferia urbana, davanti a un piatto di strepitoso asado, preparato per noi, incontriamo Alberta.
L’ho conosciuta insieme ad altri cooperanti qualche anno fa quando andai per una visita ufficiale della Cooperazione italiana. Vive a Buenos Aires da otto anni, per realizzare un progetto del Cospe, l’ONG che le ha aperto la porta per l’America latina. Ora il Cospe chiude ma lei ha nel frattempo messo su famiglia: un compagno e due bambine deliziose.
Alberta parla molto bene delle politiche sociali di Cristina. Dice che le critiche di troppo assistenzialismo che si levano nei suoi confronti non reggono alla prova dei fatti. Ci sono leggi per sostenere le madri singole, leggi per creare lavoro sociale, leggi per le nuove cooperative. Semmai, per lei, la critica da rivolgere è piuttosto alle fonti di finanziamento: quantità ingenti di denaro per la spesa sociale arriva, infatti, dalla coltivazione della soia.
Il modello estrattivo ambientalmente insostenibile anche qui continua a essere ahimè centrale. Più critico verso le politiche economiche e sociali è Francesco. Un altro italiano che si è trasferito da otto anni perché in Italia non si sentiva motivato . Qui lavora presso università e per progetti di alcune municipalità.
Dice che la Presidenta fa molte cose buone ma non cura abbastanza le relazioni. I processi decisionali difettano di democrazia. Che è invece essenziale se si vuole incoraggiare il protagonismo sociale. Si lavora troppo a vista e si tralasciano le politiche a lungo termine. E’ questo, a suo parere, che incrina il consenso e indebolisce comunque la qualità della partecipazione.
Questo vale anche per alcuni provvedimenti assunti a protezione delle imprese argentine, in occasione dei quali è mancato Il confronto con le parti sociali. A me appare chiaro, però, parlando con altri (illuminante il colloquio con la nostra affitta-camere ) che è la classe media produttiva che non si ritrova nella politica di Cristina: troppi sussidi ai poveri e privilegi per i ricchi è il ritornello che gira sempre, ma anche l’ aumento dei prezzi e il blocco dei dollari per chi vuole recarsi all’estero.
Emerge un chiaro e netto discrimine di classe. I poveracci senza dubbio stanno meglio che altrove. Più sostenuti dagli interventi sociali e più garantiti. A me non sembra male. Anzi. Tra un incontro e l’altro mi godo la città. Puerto Madero ha il sapore di una spregiudicata speculazione ma è davvero bello e intrigante. Sia sotto l’improvviso acquazzone della mattina, sia sotto le multicolori illuminazione serali.
Struggente Il puente de la Mujer sul Dique 3 che si staglia bianco con l’eleganza del movimento del tango tra le nuvole nere verso Rio della Plata da dove spiccano le cime delle navi che vanno a Montevideo e le propaggini a est di San Telmo . Il Rio della Plata limaccioso ma vivo torna poi ai nostri sguardi quando camminiamo per i viali della Riserva ecologica strappata alla speculazione e ripresa prepotentemente dalla natura.
Un consiglio: sedetevi sulla panchina sotto una jacaranda e lasciatevi andare al moto del fiume. Vedrete che vi vengono incontro i velieri della dominazione spagnola, ma anche i nonni emigrati che tanti di noi hanno nel loro album di famiglia. E sole tanto negli occhi, sulla pelle, ad accarezzare e coccolare. Buenos Aires è bella e imponente, moderna , vivace , e insieme dura. A Retiro si intravede una grande villa miseria. (le bidonville argentine)
“Non andate di sera, attenti anche a Palermo, non solo a Boca” ti ripetono in continuazione.” Addirittura a Florida, frequentatissima via di shopping ,ti possono prendere il portafogli. Attenti ,attenti!” Ma tu vai perdendoti nel parco botanico e nel giardino giapponese. Di giorno, si, di giorno.
Ma che incanto! A Plaza de Mayo un colpo a cuore. La Casa Rosada e le Madri. Gli innumerevoli golpe militari e i desaparecidos. Torture e violenze ancora da risarcire e riconoscere. Nora Cortina, una madre “importante” ed autorevole non dimentica, non vuole dimenticare. Chiede che sia fatta giustizia, non riconciliazione. Gira per il mondo a parlare di diritti umani.
Tutti dicono di lei: “non manca mai, quando c’è una causa da sostenere, Nora c’è.” E’ subito amicizia tra noi. La invitiamo a Roma per discutere, per parlare. La lasciamo con un abbraccio e una lacrima trattenuta davanti al suo fazzoletto e alla fotografia di suo figlio. Piangere non si può. C’è la forza e il coraggio di una lotta che continua.
Cecilia è una giovane ricercatrice figlia di una vecchia amica italiana. E’ qui di passaggio perché ha curato la mostra di Giocometti alla Boca. Vive a Parigi da anni. Studia e lavora. Anche lei ama l’America Latina e Buenos Aires. Ci intendiamo subito. Mi è simpatica. Trasmette determinazione e senso di sé.
Penso con affetto alla madre e ai comuni sforzi per darci come donne tutta l’autonomia necessaria per vivere in libertà. Ci sono poi gli italiani che sono qui da generazioni . Un po’ argentini e ancora italiani. Ma in realtà, come dice Amelia , si sentono nella terra di mezzo. Cercano l’Italia in noi. Così mi pare . Ci parlano di compagni conosciuti.
Hanno voglia di discutere di politica. Il voto agli italiani all’estero, mettiamola come vogliamo, ha comunque dato un po’ di vigore. Ci si riunisce per dibattere e confrontarsi. Anche se poi arriva in parlamento il Pallaro di turno. L’emigrazione vecchia incontra quella nuova. Tanti giovani arrivano di nuovo. Per lavorare.
Ci chiedono di restare in relazione, di fare scambi di esperienze. in particolare sulle imprese recuperate. Si proprio sulle recuperate, un mio vecchio pallino. Sono contenta. In questi giorni parliamo molto di imprese recuperate anche perché Fabio, che abbiamo visto più volte, è un militante e dirigente della Federacion Argentina de Cooperatives de Trabajadore Autogestionados, e anche membro del consiglio di redazione della rivista Autogestion , ricca di articoli su economia sociale e alternativa.
Ci accoglie al caffè “utopia” del Bauen e ci fa parlare con Federico il presidente della cooperativa di gestione. Ecco dunque il Bauen. Ci torno volentieri. L’ultima volta è stata due anni fa, con Alessandra. In Italia se ne ha un idea un po’ troppo mitica. Ma è davvero una cosa straordinaria che permane nel tempo.
Tutte le recuperate, va sottolineato, sono le uniche esperienze di risposta alla crisi che sono ancora in piedi segno di una oggettiva consistenza pur se nessuno ti nasconde i problemi e le difficoltà organizzative ed economiche. E’ un lavoro che si crea continuamente. Oggi al Bauen ci sono 150 lavoratori, ancora a combattere per la proprietà che non riesce ad essere definita, con il difficile accesso al credito, con i complessi adempimenti quotidiani che occorrono per servire 18 piani con stanze per gli ospiti e spazi comuni.
Rappresenta una realtà significativa. E sta li a ricordare in tutta la sua imponenza il cambio di segno dato dall’occupazione del 2001: da hotel dei padroni a hotel di tutti! Mi piace toccare la porta da dove i compagni sono entrati la prima volta per ridare lavoro, mi piace il pavimento del primo piano fatto con il marmo dai lavoratori di un’altra impresa recuperata.
Mi piace la mensa per chi vi lavora e il teatro interno. La chiacchiera politica che facciamo con alcuni di loro è bellissima, fatta con intrecci divertenti di spagnolo e italiano. Chissà se l’idea che comincia a girare di una campagna internazionale di finanziamento popolare per il Bauen potrà partire? Sicuramente avrebbe il mio sostegno.
Il viaggio si chiude teneramente in due con un Bife de chorizo e un bicchiere di Quilmes.
Alla prossima Buenos, alla prossima.