Scuole aperte: un modello possibile di comunità educante

La Scuola Di Donato all’Esquilino

Pubblichiamo questa intervista a Gianluca Cantisani, rappresentante dell’associazione dei genitori della scuola romana “Di Donato”, con cui collaboriamo con la nostra attività di soccorso scolastico.

Giulia Tosoni – L’anno scolastico è iniziato da poco e non mancano difficoltà e proteste. Ci sono però strutture che cercano di andare avanti nonostante tagli e false promesse, grazie alle energie e all’entusiasmo di genitori, bambini e personale docente per lanciare un modello diverso di fruizione delle scuole. La Di Donato è un esempio e lo racconta Gianluca Cantisani, rappresentante dell’associazione dei genitori. Il plesso Di Donato dell’istituto comprensivo Manin è nel cuore del rione Esquilino, famoso per essere il centro pulsante della Roma interculturale. Dal 2003 un gruppo di genitori ha iniziato, su impulso dell’allora dirigente Bruno Cacco, un’azione di volontariato per il ripristino e l’utilizzo degli spazi sotterranei della scuola e del cortile.

Le ore del doposcuola sono uno spettacolo per gli occhi: attività sportive, artistiche e ricreative rivolte ai bambini si coniugano all’offerta interculturale del Polo Intermundia, coinvolgendo oltre ai bambini e ai genitori persino i nonni provenienti da tante diverse parti del mondo. La Di Donato è diventata così punto di riferimento del rione, centro culturale e di aggregazione aperto alla città. Abbiamo chiesto a Gianluca Cantisani, dell’Associazione Genitori Di Donato, come sta andando questo inizio di anno scolastico.

Gianluca, voi da molti anni siete attivi all’Esquilino e nella scuola: secondo te come ha impattato la crisi sull’utenza della scuola e sulla vita del quartiere in generale? Quali sono le maggiori problematiche emerse in questi anni?

Siamo all’inizio dell’anno e viviamo i problemi di tutta la scuola italiana. La crisi c’è ed è vissuta dalle famiglie, la scuola sembra invece andare avanti come sempre, come se nulla fosse. La tua domanda è molto interessante, mi ha fatto pensare. La crisi è la realtà di questo momento storico e non può non toccare le famiglie. La scuola è però un mondo a parte che funziona con meccanismi propri slegati dalla realtà esterna. E’ vero che con la crisi non ci sono risorse da immettere nella scuola. Ma è anche vero che sono dieci anni che si taglia nella scuola. E che la scuola è in crisi da molti più anni ed è una crisi che non dipende dal contesto economico. La scuola è vecchia e non si rinnova. Non tutta. Ma se penso alla struttura ancora a materie scolastiche della scuola secondaria e all’impatto che ha sui giovani che ne parlano malissimo e con lucidità mi chiedo cosa stiamo aspettando, perché gli adulti hanno così poco coraggio di cambiare.

Dopo 12 anni di scuola dell’obbligo dei miei due figli ho un quadro abbastanza chiaro e mi sento corresponsabile. Non sono insegnante ma non posso dire che non sapevo. E poiché sono convinto che il futuro della scuola è il futuro dell’Italia come cittadini siamo chiamati a dare un contributo, la scuola non è fatta solo di didattica in classe ma di spazi, di relazioni, di accoglienza, di famiglie, di territorio nel quale si è inseriti. Se pensiamo per esempio alla dispersione scolastica non possiamo certo immaginare che la scuola sia responsabile da sola e ce la possa fare da sola a recuperare i ragazzi che si allontanano e neppure che il territorio stia a guardare mentre la scuola espelle ragazzi e crea disagio sociale. La scuola è stata abbandonata a se stessa. Prima si è pensato che il cambiamento dovesse arrivare dagli addetti ai lavori, poi sono arrivati i tecnici e gli aziendalisti ma è dimostrato dai fatti che tutti e due questi approcci hanno fallito.

Hanno fallito perché non hanno integrato gli approcci e le risorse. Hanno pensato di poter far da soli. L’unica via è che la scuola si apra, si confronti, dialoghi, si contamini con la società complessa (il mondo) e con il territorio vicino (il quartiere, il luogo dove è ubicata). E’ quello che abbiamo provato a fare in questi anni alla scuola Di Donato di Roma nel quartiere Esquilino. La nostra motivazione di partenza è stata il nostro essere genitori potenzialmente impotenti di fronte al degrado della scuola e del quartiere (ricordate Piazza Vittorio 10 anni fa?). Abbiamo reagito, a partire dalle piccole esigenze dei nostri figli (avere uno spazio protetto dove giocare insieme) e poi cercando di ridare dignità alla scuola ed al quartiere dove viviamo. Oggi, a distanza di dieci anni, la scuola è un esempio di buone pratiche e Piazza Vittorio, luogo simbolico del quartiere, è stata rioccupata dai bambini ed è tornata luogo sicuro e piazza di tutti. Sul sito www.genitorididonato.it è possibile avere un quadro di quanto fatto in questi anni.

La scuola, lo sappiamo, ha subito numerosi tagli. Come avete fatto a continuare nell’attività del doposcuola? La vostra esperienza può essere un esempio replicabile in altre scuole: in che modo siete attivi per un proficuo scambio di esperienze con le scuole romane?

Vi racconto alcune cose che ci sembra abbiano funzionato. E che ci permettono di funzionare a prescindere dai tagli e dai finanziamenti. In primo luogo la scuola deve aprirsi. La scuola è un luogo pubblico e non ha senso che sia aperta solo in orario scolastico e solo per utenti ed addetti ai lavori. E’ il luogo appropriato, simbolico, neutro, riconosciuto da tutti per costruire la comunità attraverso l’educazione dei giovani, la formazione degli adulti ed il confronto e lo scambio tra estrazioni sociali e culture diverse (all’Esquilino internazionali!). Alla Di Donato abbiamo avuto la fortuna di avere un preside che ha aperto i cortili e gli spazi dopo l’orario scolastico e ciò si è incontrato con l’impegno di cittadinanza dei genitori; ne è nata una esperienza straordinaria di buone pratiche, che non finisce, si rinnova negli anni perché ha fondamenti saldi.

E’ necessario pensare a SCUOLE APERTE gestite in collaborazione con le risorse di gratuità nel quartiere. In Italia sono state provate tante esperienze di scuole aperte. Ma in genere gestite dal personale scolastico, trovando i soldi per coprire la spesa di custodia. In questo modello è sempre la scuola che gestisce e controlla tutto ed i cittadini rimangono utenti, invitati e ospiti. Così però non funziona. Ciò che ha funzionato da noi è stato rimettere la responsabilità in mano agli stessi cittadini con delle regole di tutela del bene comune. Nel nostro caso non solo i genitori erano interessati ad utilizzare gli spazi per e con i loro figli ma ne hanno curato la manutenzione e ne hanno permesso l’uso in orario scolastico. Senza fondi molti spazi della nostra scuola sarebbero oggi chiusi perché inagibili. Da dieci anni alla Di Donato i genitori fanno la manutenzione ordinaria di 1000 metri quadri di laboratori, dei cortili e delle palestre.

Questo modello di Scuola Aperta funziona ed è replicabile. Secondo. Una scuola aperta non solo non ha più paura di confrontarsi con la realtà, ma può essere il motore del quartiere, quello che spinge tutti i cittadini e le attività a fare qualcosa per la collettività, di gratuito e di bello. Anche qui non bisogna pensare ai soli insegnanti che già hanno sulle spalle compiti educativi e gestionali spropositati; una Scuola Aperta è fatta non solo dagli addetti ai lavori (chi è pagato) ma dai genitori, dagli operatori/educatori delle attività scolastiche ed extra-scolastiche, dai progetti con la città. Da noi è accaduto per esempio che a seguito di un grave incidente (un bambino travolto sulle strisce pedonali mentre veniva a scuola a giocare a basket) è nato un progetto che si chiama “Una città a misura dei bambini: il gioco, lo sport e la sicurezza” per mettere in sicurezza tutti i percorsi pedonali tra scuole, parchi, palestre, luoghi dove i bambini hanno diritto a muoversi in autonomia. Siamo partiti dalla nostra scuola ma il progetto è stato poi realizzato dal comune di Roma per tutte le scuole dei quartieri Esquilino e Monti.

Ogni anno in maggio facciamo una giornata nella quale l’intero quartiere partecipa. Riguardo ai tagli è interessante osservare che, a parte il personale, la nostra scuola (700 bambini e ragazzi) riceve un contributo pubblico di circa 5000 euro/anno (€ 7/alunno). E ciò vale per tutte le scuole d’Italia. Allora già ora, senza fondi, ogni anno le scuole devono trovare i fondi per funzionare. Ogni scuola ha modalità differenti. Chi fa pagare una quota volontaria, chi affitta i locali e così via. Spesso tutto ciò è completamente slegato dal progetto educativo e viene delegato alla amministrazione tecnica della scuola. Da noi sussiste questo modello ma si è aperta una sperimentazione di un modello che ci permette di fare molte altre cose con le risorse allargate di una Scuola Aperta. A scuola senza profitto potrebbe essere il motto di questo modello perché ciò che muove le persone a dare gratuitamente il proprio tempo, le proprie competenze ed anche il proprio contributo è l’adesione ad un progetto collettivo di crescita della scuola nel quartiere e del quartiere stesso a partire dalla scuola. Un modello possibile di “comunità educante”.

Quest’anno scolastico è appena partito: quali i programmi dell’Associazione Genitori per il 2012/13?

Quest’anno abbiamo un proposito ambizioso. Riflettere sul modello Di Donato e produrre qualche strumento per aiutare altre scuole, altre comunità a replicarlo nella loro realtà. Abbiamo pensato per arrivarci ad un percorso di ricerca e formazione attraverso l’incontro con figure significative della scuola, della pedagogia, del futuro che ci aiuti alla rielaborazione di quanto sta accadendo inquadrandola in una visione sul futuro della scuola italiana. E poi di provare a scrivere in modo collettivo la nostra esperienza per noi e per gli altri. E poi una Scuola Aperta non può non pensare a portare un contributo per costruire una città migliore e quindi siamo presenti e propositivi nei tavoli di dialogo, di confronto e di progettazione. Roma si avvicina al momento delle prossime elezioni amministrative. Un sogno per l’Esquilino e uno per la Di Donato nella Roma di domani.

Mi ha sempre colpito come è possibile che non riusciamo in questa città a rendere la vita più semplice ai bambini. E se lo facciamo per i bambini ne traggono un beneficio tutti. Allora forse possiamo, a partire dalla nostra esperienza, proporre ai candidati sindaci di mettere nel programma uno specifico punto sulle Scuole Aperte come centri della socialità di quartiere, motori del riscatto della città, strumenti per superare le difficoltà della crisi e dei tagli. Al Comune di Milano il sindaco Pisapia l’aveva fatto ed ora stanno lavorando per realizzarlo. Noi possiamo partire da qualcosa che funziona da dieci anni e che possiamo adattare, migliorare, reinventare. Il sogno è proprio questo; che la memoria, le buone esperienze non si perdano; che la politica ascolti, tragga dalla società le cose che già esistono. Inventare il nuovo è stato spesso un esercizio retorico; il nuovo si inventa a partire da quello che di concreto si è fatto. Noi ci sentiamo risorsa. Senza presunzione. Responsabilmente. Da cittadini attivi.

Foto di Kuanish Reymbaev su Unsplash