Presentazione di “Televisione”: l’intervento di Viola Giannoli
Pubblichiamo l’intervento di Viola Giannoli all’incontro dello scorso 9 maggio per la presentazione del libro “Televisione” di Carlo Freccero.
Cominciamo da una premessa che sembrerebbe non c’entrare, ma c’entra.
Ieri sono stata al Teatro Palladium a vedere lo spettacolo di Ascanio Celestini che esordiva, tanto per parlare di medium, con le voci sparate dagli altoparlanti di Papa Wojtyla e di Francesco I, di D’Alema, Monti, Berlusconi e Craxi. Voci di propaganda che oggi in questa forma ma con la sola funzione informativa e di servizio si ascoltano in metro, nel supermercato o allo stadio. Poi sul palco fa la comparsa l’attore in “Discorso ad una nazione” che racconta di un Paese in guerra civile dove ogni tanto tra i cittadini più o meno normali, con più o meno tic, spuntano dei dittatori, fino all’ultimo, che dal suo piedistallo racconta quella che Luciano Gallino ha chiamato “La lotta di classe dopo la lotta di classe” ovvero la lotta di classe al contrario.
Dice “voi proletariato avete inventato parole stupende come struttura, sovrastruttura, alienazione, classe, voi le avete create, avete agito un po’ di conflitto e poi ve le siete dimenticate, noi invece le abbiamo imparate da voi, le abbiamo assorbite e le abbiamo usate per togliervele, non solo le parole, ma per togliervi i diritti, trasformare il conflitto della produzione in omologazione da consumo e scipparvi in definitiva anche il conflitto e la lotta di classe visto che oggi è diventata quella dei ricchi sui poveri o meglio delle classi dominanti su quelle subordinate, sugli invisibili, sugli sfruttati, sui precari, il moderno proletariato”.
Questo è quello che è accaduto non solo su quel palcoscenico ma quello che è accaduto in Italia e che racconta anche Carlo Freccero nel suo libro “Televisione” in cui l’evoluzione dei media, dal servizio pubblico RAI alla TV interattiva attuale, va di pari passo con l’evoluzione o, meglio, l’involuzione politica e con le mutazioni della cultura e della produzione culturale in Italia.
Ecco, il periodo che io conosco meglio, ma giusto perché è l’unico che ho attraversato con la mia vita, è quello che va dall’inizio degli anni 80 a oggi. In fondo sono nata mentre Mike Bongiorno “rivoluzionava” la TV e mentre Canale 5 “rubava” Dallas alla RAI. È l’era del boom delle TV commerciali che americanizzano linguaggio e stili culturali. E’ l’era di Silvio Berlusconi che diventa il re della televisione ovvero del principale mezzo di comunicazione su un piano altro rispetto alla galassia Gutenberg.
La sinistra non è che non faccia cose di qualità, basta vedere la terza rete RAI, ma, si direbbe oggi, non sta al passo coi tempi.
Sono gli anni del disimpegno, dei cappellini a stelle e strisce, delle acconciature eccentriche e delle spalline voluminose. Anche se la politica è ancora ingessata, ha, seppure non scevra da scandali, la sua “sacralità” istituzionale.
Poi, per sintetizzare la storia all’osso, arriva Mani Pulite, un’inchiesta che spazza via o prova a spazzar via buona parte della classe dirigente. Ci sono le monetine all’hotel Raphael con estrema destra e sinistra nella stessa piazza, ci sono soprattutto i magistrati che sconquassano il potere politico.
Berlusconi scende in campo e, come racconta Freccero, applica la dittatura della maggioranza imposta dalle TV commerciali al mondo della politica. Lui è eletto, anzi l’eletto, i magistrati no. E dunque il potere giudiziario non può avere la stessa importanza di quello esecutivo o al limite legislativo, deve esserne subalterno.
Cosa accade nel campo opposto? Nasce “l’antiberlusconismo” che in tempi molto recenti si scolla totalmente dalla sua base, mentre ideologie e sinistra sono crollate sotto i colpi della storia e la morte del movimento operaio, e assorbe il pensiero berlusconiano così come era accaduto con la TV.
Linguaggi e attacchi diventano speculari. Le inchieste, la “verità”, la supremazia culturale, non bastano e allora la sinistra-sinistra si coalizza attorno alla bandiera più destra possibile. Quello, Berlusconi, crea la Casa e il Popolo delle libertà (intesa nella sua accezione anche negativa di impunità rispetto ai reati non da strada ma alla corruzione, alla concussione)? E di qua si fa il partito dei magistrati. Non il partito del lavoro, dei diritti, dell’integrazione, del nuovo umanesimo. No, il partito della legalità con a capo un magistrato, validissimo, Antonio Ingroia, che proponeva sì una rivoluzione, ma civile. Un’operazione che ha avuto il suo anticipo a mio avviso nelle campagne di Marco Travaglio, altro validissimo giornalista, che però a fatica si potrebbe definire di sinistra, seppure certamente antiberlusconiano.
Anche nell’ultimo biennio ci sono state inchieste giudiziarie che hanno travolto parlamentari, presidenti del consiglio, intere regioni, province o comuni. La reazione sono stati i forconi. Non quelli veri perché a parte gli sprazzi studenteschi nel 2008 e nel 2010, a mio avviso non adeguatamente supportati da chi dei giovani ancora ha paura, non c’è stato un conflitto sociale vero in questo paese, come accaduto in maniera violenta in Grecia o con moto indignato in Spagna. Ma i forconi dell’anticasta, magistralmente interpretati e oggi anche rappresentati da Beppe Grillo prima e dal Movimento 5 stelle poi. Un partito che tra l’altro con la coalizione arancione, che oggi è già morta e sepolta, condivide esattamente la logica securitaria e legalitaria che non appartiene invece storicamente e tradizionalmente alla sinistra.
Epperò i 5 stelle non hanno intuito solo la voglia di aprire la casta come una scatoletta di tonno – come se poi milioni di italiani vivessero dentro il Parlamento per cui lì sì bisogna levare la buvette, i privilegi, le diarie (salvo poi riprendersele), e non nelle strade dove invece i privilegi resistono, le ingiustizie sociali pure, i soprusi anche – ma hanno intuito anche che il mezzo per comunicare oggi è un altro. Hanno superato anche lo slogan dei movimenti “don’t hate the media, make the media”, utilizzando il web meglio di chiunque altro, anche se in una chiave completamente differente rispetto ai Paesi arabi, laddove sono esplose le Primavere.
Il blog di Beppe Grillo diventa l’unico media autorevole per quel mondo che odia stampa e TV, diventa collettore anche di una serie di bufale del web ma poco importa. Mentre la velocità dei 140 caratteri di twitter comprime il pensiero ma incide gli slogan. Non dimentichiamo che il M5S è nato da una sola parola: “Vaffanculo”. Marco Masini ci aveva provato anni prima ma gli era andata peggio…
E allora, cosa provare concludere dopo aver letto il libro di Freccero così ricco di spunti? Io una ricetta per il servizio pubblico non ce l’ho, non ho gli strumenti, la cultura, la conoscenza necessaria del mezzo per poterla anche solo accennare. Ma se è vero che in un qualche modo la comunicazione e l’evoluzione dei mezzi di comunicazione sono andati di pari passo o hanno corso su un binario parallelo e molto vicino a quello della politica, anche senza determinarla ma certo influenzandola, ecco qui sì mi sento di dire che noi che sogniamo rivoluzioni o quantomeno fratture (vi invito se ce ne fosse bisogno a leggere il libro per capire la differenza) dovremmo capire e anzi anticipare – cosa che la politica non fa più visto che vive di risposte emergenziali senza progettazione né pianificazione – i mezzi, il linguaggio, la “programmazione”, per usare un termine televisivo, di domani.
Dovremmo scrollarci di dosso un po’ di “spocchia”, di impostazione da servizio pubblico che è balletto, cultura, arte a tutti i costi e senza abbassarci o emulare, aprirci al dialogo, metterci a disposizione, riattivare l’orecchio ben consapevoli di non poter agire però con la mentalità e le tempistiche di 10, 20, 30 o 40 anni fa. Come diceva McLuhan guardare nello specchietto retrovisore sarebbe un errore.
Penso che non si possa, come diceva anche Celestini ieri, cedere al fatalismo, arrendersi, accontentarsi dell’abbraccio mortale post ideologico e tecnico tra chi porta avanti le peggiori politiche europee contro la crisi, o cedere al populismo degli insulti e dell’inesperienza.
Noi, che non è un plurale maiestatis come quello di Berlusconi ma il senso di appartenenza a una comunità, lo diciamo sempre: siamo quelli che non solo sogniamo ma che a quei sogni abbiamo già dato corpo e vita, magari male, magari dobbiamo rivederli ma fanno già parte di noi: bisogna ricordarsene, rivitalizzarli, aprili al nuovo, trasformarli, essere disposti non a trattare ma a cedere fiducia e “sovranità”, mi verrebbe da dire, senza tradire la propria identità.
Penso che si possa provare a tessere un legame tra chi ha vissuto più antiche trasformazione e riesci oggi a “studiare” la società e chi la vive oggi tra incazzatura e disperazione, capace però proprio per questo di rimboccarsi le maniche non come un Bersani in bianco e nero sul cartellone in autostrada, ma lavorando e lottando per il comune che scalfisce interessi, scambi, mercificazioni del privato e sostiene come una stampella indipendente il pubblico laddove questo non sa non può o perfino non vuole restituirci ciò che è nostro, rimettere in circolo spazi, luoghi, ricchezza, servizi, beni, lavoro, diritti, cultura.
Mi pare, se non fa tutto parte di un mio sogno mistico, che tutto questo il libro di Freccero non tanto lo dica quanto provi a suggerirlo semplicemente raccontando cosa è stato il piccolo schermo, la politica e noi tutti negli ultimi 50 anni di vita. E se c’è questo in 170 pagine, allora è un ottimo inizio e possiamo continuare a metterci in movimento, quello vero, quello che, per dirla con Fausto Bertinotti, nel recinto non ci sa stare e vuole romperlo, stando solo ben attento a non riprodurre una minuscola e gruppettara minoranza delle minoranze.