Le fiabe di AltraMente: “Lampo”

Di Patrizia Sentinelli

Quando incontrerete Lampo, sicuramente lo riconoscerete. È un cane bianco, di taglia grande, dal manto lucido e folto. Di carattere buono e socievole. Tutto diverso dal suo compagno di guardia, che abbaia malcontento dalla mattina alla sera, maledicendo persone e cose. Lampo è uno spirito libero che trasforma in avventura ogni cosa che fa, ribelle e sregolato ma capace di grandi amicizie.

Da qualche tempo, più precisamente dalla notte delle meraviglie, ha imparato a giocare con i bambini. Si avvicina loro lentamente, con la dolcezza propria del suo sguardo languido, per allontanare la paura che prende a chi lo avvista cosi grande e imperioso, come succedeva a chi tentava di rubare le pecore ai tempi delle transumanze in Appennino. Qualche anno fa era un cane pastore che correva dietro alle greggi lungo i pendii che dai monti discendevano al mare. Ora tutto è cambiato per lui. È avvenuto tutto in una notte buia fonda, in mezzo alle montagne abruzzesi. Dormiva pesantemente dopo una lunga faticosa giornata di lavoro e non si accorse di un bagliore che tagliò il cielo aprendo proprio sopra la sua testa uno squarcio di luce.

Da un nembo di nuvola saltò giù disinvoltamente un ometto vestito di rosso che teneva in mano una grande scatola d’oro. La posò con cautela in terra. L’aprì e ne estraesse due piccole ma robuste ali, che attaccò con uno spesso filo di lana bianco sul corpo di Lampo, una per parte, vicino alle orecchie. Poi, terminata la cucitura, si nascose dietro un pero che cresceva vicino al piccolo orto di montagna e si mise in attesa pregustando la sorpresa che avrebbero procurato le nuove ali. Lampo si svegliò come al solito alle prime ore dell’alba. Fece per muoversi ma avvertì immediatamente un peso che lo affaticava nei movimenti, cercò di reagire e si mosse pian piano fino ad arrivare sull’orlo di un torrente lì prossimo per bere e lavarsi il muso come faceva ogni mattina. Che colpo, ragazzi! Appena il torrente gli restituì l’immagine del suo corpo, si accorse delle ali attaccate alle orecchie. Fece un salto all’indietro, poi preso coraggio, tornò a specchiarsi. Eh si, erano proprio ali quelle che gli erano spuntate durante la notte.

”E che ci fanno qui?“ si disse e cercò il suo scorbutico compagno per vedere se era successo anche a lui. Ma niente. Quello ancora dormiva e nel sonno borbottava come da sveglio e sul suo corpo non c’era nulla di diverso. La novità riguardava solo Lampo che non sapeva più che fare. Si guardava attorno attonito cercando di capire, quando da dietro il pero vide sbucare l’ometto che rideva a crepapelle. Gli saltellava tutto intorno. Continuando a ridere gli faceva segno di allargare le ali per provare a volare. Lampo eccitato e incuriosito esegui l’invito, ma alla prima prova fallì miseramente. Si alzò di qualche centimetro – 40 per la precisione – ma poi ricadde in terra, senza alcuna ferita e senza paura. Quel brivido che gli aveva attraversato il corpo non appena aveva aperto le ali gli era piaciuto. Era elettrizzato. Avvertiva un senso di potenza mai immaginato neppure quando riusciva a far scappare i malintenzionati che si avvicinavano alle sue pecore. Poteva volare, forse anche più in alto. Si librò di nuovo. Dopo tre quattro cinque prove ci riuscì. Corse per prendere lo slancio necessario e si alzò.

Andò in alto fino a incontrare due stormi di uccelli migratori che viaggiavano verso l’Africa e persino un piccolo aereo di diporto guidato in modo così spericolato che quasi lo urtava. Gli girò intorno intraprendente e al volante riconobbe l’ometto che gli aveva insegnato a volare. Fu felice. Si fecero l’occhietto e divennero amici. Insieme volarono e volarono per giorni interi, fermandosi a terra solo per brevi scali. Per tornare poi al cielo, all’aria al vento. Lampo, però, amava anche la terra e camminare su di essa. Quando finiva i suoi voli tornava giù e si fermava per qualche giorno. Aveva lasciato gli stazzi e viveva in pianura tra la città e la campagna, in quella terra di mezzo dove sembra che tutto sia possibile.

Avvicinava i bambini senza far loro paura e mostrava le ali, spiegando che tutti potevano volare a patto di non mugugnare ma di saper sognare e inseguire il desiderio. Fu così che, dopo qualche tempo, un contadino mentre alzava gli occhi al cielo notò in alto, sopra il suo casale una lunga fila di cose che volavano. Guardò meglio, mettendo a fuoco con il binocolo che portava sempre con sé e vide un cane volante seguito da tre bambini in calzoni corti, una mocciosetta con l’ombrellino, un’oca, due tartarughe, un vecchio che brandiva un bastone da passeggio, una ragazza con jeans stracciati e un cartello in mano, e, a chiudere la fila, un piccolo aereo da diporto che salivano e scendevano, rincorrendosi, facendo grandi anelli attorno al sole. Liberi e sognanti dietro i loro desideri. Il contadino posò il binocolo accanto alla pianta di fagioli, salì sulla cima e si librò felice di raggiungerli. La fila divenne grandissima da Roma a Dakar, poi salendo fino ad Amsterdam e poi di nuovo giù a Melbourne e poi Mumbai…….