Cooperare per imparare insieme ad AltraMente
di Patrizia Sentinelli
Il progetto del soccorso scolastico volontario
Abbiamo cominciato a delineare la prima bozza del progetto del soccorso scolastico volontario con un brainstorming sulla selezione scolastica tra soci ed amici dell’Associazione AltraMente – scuola per tutti.
L’anno scorso, infatti, abbiamo costituito un’associazione di promozione sociale con l’intento di contribuire a formare una coscienza critica sulle cose del mondo globalizzato. Ci accomuna ritenere che la povertà di cultura e di conoscenza rende maggiormente vulnerabile ogni individuo e quindi più fragile la coesione sociale e le lotte per le libertà e i diritti. È l’idea di vivere una fase nuova della passione politica, che condividono gran parte dei fondatori, provando ad impiegare la nostra cassetta degli attrezzi in una pratica sociale e culturale diretta.
Partendo da qui abbiamo costruito percorsi modulari formativi e informativi su diversi ambiti per proporli a giovani e a non più giovani che sentivano il bisogno di approfondimenti e/o desideri di risposte a nuove curiosità intellettuali. In un anno abbiamo realizzato non poche esperienze e lavorato seguendo il filo rosso dell’autogestione (del lavoro, di sé, di un rinnovato concetto di pubblico) come chiave di una capacità di autodeterminazione.
Non a caso, dunque, siamo arrivati ad affrontare il tema della scuola pubblica nel nostro Paese, della perdita di efficacia che ormai la segna, dell’aumento della selezione, degli abbandoni, della dispersione. E ci siamo chiesti se valesse la pena che un’associazione come la nostra potesse impegnarsi anche in un’attività di volontariato verso quegli studenti che manifestavano maggiori difficoltà a conseguire risultati scolastici positivi o che senza alcun sostegno esterno rischiavano l’espulsione e la marginalizzazione.
Una trama di solidarietà e di lotta
Era questa iniziativa coerente con gli obiettivi dati? Eravamo capaci di mettere in moto un processo aggregativo per formare un’équipe di docenti volontari? Quali interventi formativi dovevamo proporre per rispondere ai bisogni? Come farne un’esperienza capace di indurre al fare anche una riflessione teorica che ci potesse spingere a declinare il fare volontariato anche in una prospettiva di trasformazione sociale?
Abbiamo deciso di accettare la sfida e di iniziare il lavoro con interrogativi aperti. Anzi, di fare di questi e altri interrogativi un primo nucleo di lavoro. E al titolo soccorso scolastico volontario, abbiamo aggiunto “cooperare per imparare”.
Per contribuire a sconfiggere esclusione e abbandoni è, ormai, necessaria la ricostruzione di una trama di solidarietà e di lotta anche col sostegno diretto a chi è più esposto. Il problema, e la sua soluzione, non possono più essere lasciati, su questo terreno, solo alla pur decisiva lotta che rivendica allo Stato una scuola pubblica adeguata e dunque qualificata e riformata.
È necessario, e possibile, realizzare comunque un intervento diretto contro le diseguaglianze che si producono in ambito scolastico, un intervento di sostegno agli studenti per ridurne il disagio ma anche per costruire esperienze sociali promettenti un nuovo futuro.
L’intervento deve, quindi, essere progettato sia al fine di dare un aiuto misurabile direttamente in termini di miglioramento della prestazione scolastica sia per costruire presidi duraturi di organizzazione della solidarietà nella società civile. Naturalmente per restituire al pubblico – in questo caso la scuola – competenze rinnovate e ri-motivate per concludere il ciclo formativo.
Non ci sentiamo, in questo senso, parte del cosiddetto privato sociale quanto piuttosto un nuovo soggetto pubblico sociale che opera gratuitamente in modo cooperativo e partecipato. Stiamo provando a vivere un’esperienza di volontariato sociale che fa della gratuità e del dono la cifra della relazione interpersonale. Il progetto prevede anche la possibilità di fare ricerca sulle radici storiche dell’esperienza mutualistica e una ricognizione di quanto viene già agitato in questo ambito, in Italia e nel resto del mondo, per muovere una riflessione generale sulla valenza che caratterizza l’iniziativa.
Il Soccorso scolastico consiste nella messa a disposizione gratuita di insegnanti, prevalentemente docenti in pensione, ma anche laureati e/o esperti nelle diverse discipline affrontate e in metodologie interattive ad alunni che incontrano serie difficoltà su materie di insegnamento previste dal programma scolastico.
La modalità dell’intervento è di diversa tipologia: c’è quello tradizionale delle ripetizioni individuali e in piccoli gruppi, quello di aiuto allo studio, di servizio di sportello per materie, di intervento di counseling pedagogico. Rispetto al lavoro svolto in classe è diversa la natura del rapporto che si stabilisce tra insegnante e allievo, diversità garantita appunto dal carattere di gratuità e di scambio relazionale che l’insegnante affida alla sua prestazione, che intende non come sostituzione o supplenza delle carenze del servizio pubblico bensì un contributo per arricchire se stessi e favorire un maggior senso di sé dell’altro.
Nelle scuole e nei centri di aggregazione
Un’altra tipologia di intervento è quella dei laboratori, come ad esempio quelli di lettura-scrittura e di scienze che si rivolgono a studenti nelle stesse strutture scolastiche d’intesa con i docenti di classe. In questi laboratori si producono libri con racconti scritti dagli stessi studenti, giornali on-line, video partecipativi. Gli studenti frequentano scuole elementari, medie e secondarie superiori, in quartieri periferici di Roma. Si tratta di studenti italiani e stranieri che necessitano anche dell’insegnamento di italiano.
Alcuni interventi si svolgono nelle scuole e altri in Centri di aggregazione giovanili di quartiere in collaborazione con altre associazioni. Particolarmente interessante il soccorso portato in collaborazione con l’ARCI ai ragazzi Rom che abitano in campi e che frequentano le scuole medie di zona. È interessante perché indica, più degli altri interventi, come il soccorso agisce per promuovere autonomia e competenze necessarie ai giovani studenti per frequentare adeguatamente la scuola e concludere positivamente il percorso scolastico. Il progetto generale prevede, inoltre, incontri formativi per gli insegnanti volontari tenuti dagli stessi insegnanti coinvolti nel soccorso su temi relativi all’accrescimento delle abilità promuovendo in tal modo esperienze di cooperazione educativa.
Quando abbiamo iniziato ci sembrava tutto molto difficile, soprattutto di poter avere équipe di insegnanti in numero sufficiente per svolgere il lavoro. Ora siamo pronti e incontriamo un interesse e una disponibilità diffusa non sempre scontata. Nella specifica realtà del campo largo dei servizi, dove colloco l’esperienza del volontariato di soccorso allo studio e all’apprendimento, la prestazione incentrata sulla relazione e lo scambio diventa elemento fondante di un nuovo rapporto sociale capace di rinnovate alleanze e connessione di legami altrimenti consumati.
Di grande interesse a questo proposito quello che si fa da anni in Francia, dove giovani studenti prestano soccorso ad altri studenti con fragilità manifesta. Ma anche in altri campi c’è da imparare. Penso alla splendida iniziativa portata avanti da Bunker Roy, fondatore del bareboot college (l’università a piedi scalzi), che in India e in tanti villaggi d’Africa porta le donne dei villaggi a diventare ingegneri solari! O alle ormai storiche esperienze mosse dalla finanza etica.
L’esperienza di prestazione volontaria non solo è grande e diffusa in tanti Paesi. Nella sola Europa sono cento milioni le persone che fanno volontariato in diversi ambiti. In una recente indagine di Eurobarometro del maggio 2010 si legge che tre europei su dieci dichiarano di essere impegnati in attività di volontariato alla ricerca di un nuovo senso per la propria vita e di manifestazione di solidarietà sociale. Ma, oltre i puri numeri, la realtà ci dice che c’è una disponibilità soggettiva ai rapporti di cura e di relazione che non possono essere semplicemente sussunti dalla sfera pubblica statale.
Anche se il volontariato di relazione nel nostro paese si sta riducendo a favore di quello di prestazione per effetto dell’aggravarsi della crisi economica e dell’estendersi della dimensione precaria nella sfera produttiva lavorativa, resta, pur tuttavia, un fenomeno di grande rilevanza capace di far emergere quanto c’è in ogni attività di servizio oltre l’aspetto economicista.
Il Rapporto 2010 di Eurispes stima il numero dei volontari presenti nelle organizzazioni solidaristiche a circa 1.100.000 unità e la maggioranza dei membri vi opera fornendo il proprio apporto con continuità. Ad essi si aggiungono i quattro milioni di volontari che operano individualmente o in qualsiasi tipo di organizzazione ed istituzione, in modo non continuativo. Dal rapporto emerge anche che le associazioni di volontariato rappresentano, nel panorama delle istituzioni italiane, l’unica realtà capace di conservare, nel tempo, un livello di fiducia elevato presso la maggior parte dei cittadini. L’82,1% degli italiani, infatti, ha dichiarato nel sondaggio del Rapporto Italia 2010 di avere fiducia nelle associazioni di volontariato, percentuale superiore anche a quella a favore delle Forze dell’ordine. Notevole il divario rispetto a partiti (12,1%), ai sindacati (22%) e alla Pubblica Amministrazione (25,1%). Le fasce d’età maggiormente impegnate in attività gratuite sono quelle che riguardano i giovani tra i 18 e i 19 anni (11,1%) e quelle relative a coloro che presumibilmente possono dedicare più tempo per tali attività e cioè tra i 55 ed i 64 anni (11,9% per i 55-59enni e stessa percentuale per i 60-64enni). Sono in numero nettamente superiore, rispetto ai loro coetanei (5,7%), le ragazze di 14-17 anni (10,8%) che dedicano il loro tempo per il prossimo e sono complessivamente di più le giovani donne (l’11,9% tra i 18 e i 19 anni) rispetto ai loro coetanei maschi (il 10,4% dei 18-19enni). In età più avanzata sono in numero maggiore gli uomini che prestano la loro operosità altruistica (sono il 13,2% i 55-59enni ed il 13,6% i 60-64enni) rispetto alle donne la cui attività rimane più costante nel tempo (10,6% per le 55-59enni, 10,2% per le 60-64enni). La partecipazione ad attività di volontariato riguarda un numero maggiore di residenti del Nord (11,9%) mentre nel Centro tale quota scende all’8,5% e nel Mezzogiorno al 6%. Allo stesso modo la donazione in termini economici riguarda particolarmente il Nord (21,2%), di meno il Centro (18,1%) ed il Sud (9,8%). Il volontariato rivolto alla tutela del bene comune complessivamente rappresenta il 28,6% delle attività svolte, operando nei settori della partecipazione civica (ambiente, cultura, istruzione ed educazione permanente, protezione civile, solidarietà internazionale).
Sviluppare la cittadinanza responsabile
Il 2011 è stato dichiarato anno europeo del volontariato. Nel Manifesto che lo annuncia si legge del ruolo e delle attività rese dalle società civili dei diversi paesi membri per offrire il contributo necessario all’inveramento della Carta di Lisbona per quanto attiene l’obiettivo della coesione sociale.
Lo stesso Parlamento Europeo ha votato il 22 aprile 2008 una risoluzione specifica nella quale invita tutti i Paesi a promuovere iniziative di sostegno alle attività di volontariato. Si tratta di precisi programmi per incentivare gli interventi e naturalmente scambi e incontri internazionali, per consolidare la vita democratica, la nonviolenza, la cittadinanza responsabile. Vorremmo parteciparvi in modo diretto anche come associazione, e dare conto del lavoro svolto e di quello programmato, e anche per incontrare chi, altrove, opera in soccorso cooperativo scolastico.
La legge italiana sul volontariato del 1991 definisce il volontariato «quella attività prestata ad altri in modo personale, spontaneo, gratuito, senza fini di lucro anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà sociale». E la Carta dei valori del volontariato, scritta dalla Fivol (Federazione del volontariato) lo scorso anno, recita: «Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito, promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni».
Il segno distintivo del volontariato è dunque la gratuità, elemento così singolare da renderlo diverso e particolare rispetto ad ogni altra attività similare svolta anche da organizzazioni del Terzo settore. Diverso anche da esperienze che contengono pratiche di autogestione. Anche quando si beneficia di qualche finanziamento sia pubblico che privato, essi non vanno devoluti a chi opera ma impiegati solo per lo svolgimento delle attività.
Il volontariato sviluppa la responsabilità individuale verso la comunità sociale, rispondendo così al dettato costituzionale nel rimuovere gli ostacoli all’uguaglianza. La politica e le sue istituzioni dovrebbero riconoscere e promuovere forme d’interlocuzione con il volontariato proprio per questo carattere solidaristico e di responsabilità che gli è proprio. Invece oggi si assiste piuttosto alla rimozione della responsabilità pubblica e alla delega della gestione dei servizi alle organizzazioni del volontariato alla ricerca di risparmio e di una malintesa sussidiarietà.
L’Associazione AltraMente è interessata e impegnata già da qualche tempo a dedicare la riflessione alle diverse e ricche esperienze di autogestione portate avanti in diversi contesti territoriali e in diversi ambiti. Penso a quanto su questa rivista si è pubblicato a proposito dell’esperienza delle fabbriche recuperate in Argentina o alle numerose cooperative negli Usa, o piuttosto al nostro modello italiano di autogestione disciplinato dalla legge Marcora o ancora alle forme di cooperative sociali in agricoltura o in campo socio-sanitario.
Ma sono tutte esperienze che non vanno confuse con le attività di volontariato. Sono pratiche, per così dire, confinanti. E che perciò vogliamo censire e studiare criticamente per una loro possibile riproduzione. Ci interessa procedere a studiare le diverse espressioni e provare a delineare come i diversi contributi che specificatamente offrono possono delineare forme di convivenza e coesione che vanno oltre il mercato e la cifra consumistica che caratterizza l’attuale modello produttivo e riproduttivo.
Torna il tema dell”Uomo nuovo”
Si tratta solo di buone pratiche? O piuttosto di esperienze che indicano una possibilità concreta di forme diverse da quelle proprie del modello produttivo capitalistico o da quello socialista statalista in quanto prevedono forme proprietarie e gestionali comunitarie e partecipate?
Particolarmente, il volontariato può essere uno snodo per rigenerare la stessa idea del pubblico? L’articolazione della diversità delle pratiche su cui mi sono soffermata, non mi impedisce al termine di questo articolo di provare invece a ricercare un filo rosso che le può riconnettere. E lo faccio, come si diceva un tempo, tornando a Marx e alla sua idea che il procedere del Movimento operaio avrebbe portato non solo alla liberazione del lavoro ma dal lavoro. Liberazione che va di pari passo da quella nei confronti di ogni tipo di Stato.
È il tema dell’“Uomo nuovo” abbandonato anche per gli orrori che ha provocato nei deliri del cosiddetto comunismo realizzato. Ma, di fronte alla protervia con cui il neo capitalismo ci impone, dopo il pensiero unico, una sorta di antropologia unica dettata nei tempi e nello spazio dal World class manifacturing e sorretta militarmente dal neorazzismo, forse sarà il caso di riprendere un nostro percorso di libertà. Ponendo anche domande elementari come quella che interroga su come possano stare insieme il Manifesto europeo per il Volontariato che chiede una modulazione del tempo di lavoro volta a favorire la disponibilità di tempo da donare alle libere pratiche e il “marchionnismo” del lavoro servile e la precarizzazione esistenziale.
E chiedendosi dunque se non sia tornato il momento che i due grandi temi, la liberazione del lavoro e dal lavoro, non debbano riuscire finalmente a congiungersi. Una capacità di intreccio che cerchi le risposte, fin qui mancate, a grandi questioni come quelle del rapporto tra lavoro manuale ed intellettuale che rimane aperto nonostante la straordinaria rivoluzione della comunicazione.
O di quello tra produzione e riproduzione nell’epoca dei limiti ambientali e demografici. E di come la sfida del diritto al reddito come diritto di cittadinanza si intrecci con quella per la trasformazione del lavoro che si realizza anche con le pratiche del dono delle proprie capacità. E’ così che prende corpo un’idea di società dei beni comuni alternativa a quel capitalismo che nacque proprio dalla loro privatizzazione. Una società dei beni comuni chiama la libera attività e la gestione partecipata. Un’idea nuova dello Stato, e del suo superamento, grazie proprio all’autogestione. Cioè una nuova e diversa modernità.